Scrivere per curarsi?

Me lo dicono in tanti e l’ho sentito anche in vari corsi di scrittura creativa: scrivere per curarsi una ferita, un dolore, per star meglio…

Non so neanch’io perché cazzo sto a scrivere questo post, mi hanno bloccato Facebook un’altra volta e da un lato è pure meglio così.

Io scrivo, anche se il mio rapporto con l’italiano è sempre stato conflittuale: avevo 5 alle superiori e gli anni precedenti avrei preferito mangiare un morto piuttosto che scrivere, chi mai si sarebbe immaginato che nel 2019 avrei avviato i PlusBrothers?

Invece proprio loro, i personaggi da me creati nel mondo “sierocapovolto” son quelli che mi hanno aiutato a reggere durante la pandemia. Forse durante il confinamento senza di loro sarei finita come tanti altri che si sono chiusi in se stessi diventando schiavi di Internet? Probabilmente sì, ed alla fine è andata bene non essermi fatta influenzare dal sovraccarico di informazione; ora che manca poco alla fine dell’emergenza sanitaria istituzionale (ma non dell’epidemia, chiaramente) credevo di essere completamente fuori da qualsiasi ostacolo. Ma poi…

Ecco, i PlusBrothers mi hanno salvato e mi stanno salvando tutt’ora. Avevamo pensato anche di smettere, io e Alessandro “Gifter” il mio caro amico e collaboratore; ma poi chi se ne frega, legga chi legga, anche se parliamo di virus e siamo nel bel mezzo di un’emergenza dovuta a un virus, il nostro è HIV di Bugliano e male non fa.

L’emergenza sanitaria non mi ha mai causato dolore, o forse sono io che non gli ho permesso di arrivare, ma in questi due anni non ho mai pensato alla scrittura come sistema per curarsi, bensì come modo per tenermi il cervello (che già è poco), impegnato onde evitare di finire in brutti giri.

Perché è inutile prenderci tanto per il culo, quando sei uscito da una cosiddetta “dipendenza da Internet” sei comunque a rischio di rientrarci e devi avere la massima consapevolezza di ciò, se vuoi evitare che accada di nuovo; è come il classico vaso spaccato. Ci puoi incollare anche il pezzo, puoi anche metterci l’oro per darci valore come fanno i giapponesi ma alla fine non è mai come l’originale. Anche se, comunque, il suo sporco lavoro di contenitore comunque lo fa e lo farà sempre.

Scrivere per curarsi?

Oggi ci voglio provare, perché ho la fortuna di avere Alessandro, il mio amico e collaboratore meraviglioso che mi ha consigliato di lasciare spazio alle mie sensazioni, per iscritto: “Lascia stare, penso io ai PlusBrothers oggi; tu stai male!”

Sto male? Diciamo che non sto bene, che poi è la stessa cosa… E va avanti così da due settimane abbondanti. Vado a momenti, ho le ore di buon umore e le ore scariche, mai sono riuscita a farmi una giornata tutta di buon umore; giornate scariche sì, però, e tutto per questa cazzo di crisi in Europa orientale. Ucraina Russia, Russia Ucraina, Piten e Budin, anzi, Butin e Piden, anzi no, era Biden e Putin.

Con Alessandro, anzi Gifter – questo è il suo soprannome – parliamo spesso dei nostri stati d’animo in certi momenti particolari e gli ho confidato cos’è accaduto dopo l’11 settembre 2001, e prima.

Non me ne importa se chi leggerà queste righe magari da Twitter, anche tra chi lavora con me, mi considererà psicopatica e fobica ma devo parlarne, devo buttar fuori certe sensazioni sperando che poi siano come una cagata liberatoria; come tale, quando hai finito e ti pulisci, ti senti il corpo più leggero ma è inevitabile che ci sia un po’ di odore, dopo. Mi spiace se non sono come Drusilla Foer, io non sono eleganzissima; parlo come mangio. Cioè male.

La puzza sarà più o meno forte a seconda di quello che hai espulso e quanto grande sia. Ecco. Mi perdonino tutti quelli che leggono senza conoscermi, o chi mi conosce troppo bene e sa che io in pubblico solitamente mi contengo, ma questo è il mio spazio. Pubblico quanto sia ma è il mio spazio e siccome non sto facendo del male né offendendo nessuno, mi esprimo a ruota libera e lo pubblico così come viene. Altrimenti che sfogatoio è?

Ecco, diciamo che quando ti senti così e hai l’urgenza di buttar fuori tutte le sostanze inutili, non stai a mettere la musica suadente, il profumo e le luci soffuse. Ti siedi e spingi, sempre per rimanere in tema con la metafora di qui sopra. Poi oh, se qualcuno vuole pure parlare con alexa e azionare la propria casa super domotica mentre spinge faccia pure… Io non dico niente. E già sto vedendo che Gifter ha ragione: mentre scrivo queste cagate, nel vero senso della parola, sto sorridendo.

E come al solito, sto anche girando intorno al discorso per non affrontare la situazione…Forse. Insomma, il casino parte da lontano: a 13 anni alle medie mi fecero vedere il film The Day After – Il giorno dopo riguardante un conflitto nucleare fra Stati Uniti e Unione Sovietica ma, poiché nessun insegnante mi spiegò il film, mi ritrovai impressionata dalla storia e da scene probabilmente inesistenti, ma che gli effetti sonori del film mi hanno trasmesso.

Così son trascorsi anni in cui una notte sì e tre no, avevo incubi di una bomba atomica che colpisse l’Italia con tutte le conseguenze del caso. E di questo mi sono sempre vergognata, fino a quando è accaduta la faccenda dell’11 settembre e i conflitti che son seguiti dopo; in tale contesto ero talmente un disastro tra insonnia e incubi che finalmente ho avuto il coraggio di parlarne in casa. Però nel frattempo per evadere soprattutto da molestie sessuali e domande morbose in chat, mi ero creata un profilo di fantasia, mi fingevo un uomo vedente situazione che mi diede anche una mano a non pensare alla bomba atomica, ma mi ha causato dei grossi problemi che poi ho risolto nel 2009 per fortuna.

Nel 2001 all’epoca dell’11 settembre non c’erano i social, ma ero io diversa: non avevo uno straccio di hobby, né un lavoro, completamente priva di prospettive e stavo attaccata alle chat a parlare di quello. Guerra, cosa farà bush, cosa farà bin laden, ancora guerra, bin laden col nucleare… E via dicendo.

E adesso gli hanno tolto 3 lettere ma qualcosa è rimasto: Bi den!

No, scherzi a parte, ovviamente dal 2001 ad ora tutte le cazzate degli incubi nucleari mi sono passate, anche grazie al mio ex compagno che mi ha dato l’opportunità di rivedere il film “the day after” insieme a lui. Me lo ricordo ancora, era il 25 settembre 2005 e da quella volta i brutti sogni non ci sono più anche se ad oggi qualche volta se passa un aeroplano troppo vicino mi fa ancora impressione e mi viene da ripararmi … Da cosa, poi? Razionalmente inconcepibile, dovesse cadere un ordigno (nucleare o meno) sopra la mia testa, sarei morta comunque.

Però tutto questo ping-pong mediatico tra presidente americano e russo, mi stanno facendo uscire di testa! Invado non invado, tiro bombe non le tiro, speculazioni fra persone già provate dalla pandemia… Ecco, se in due anni di pandemia non mi sono mai fatta condizionare dal sovraccarico di informazioni sul covid, questa maledetta crisi ucraina mi ha fatto uscire di senno.

Per fortuna leggendo libri, lavorando, scrivendo qui o sui PlusBrothers mi tengo impegnata ma davvero…

Ci sono mattine in cui alle 5 apro Google news per sapere quali sono le ultime notizie; ci sono notti che non vado a dormire se non ho letto la pagina 101 -ultim’ora- o 150 -mondo- del televideo rai, o le pagine Facebook di corriere e ansa.

Ci sono momenti in cui guardo il twitter sui vari hashtag dedicati alla Russia e Ucraina, addirittura mi son trovata a leggere persone complottiste filo-russe che altrimenti, per altre loro idee che non condivido affatto, avrei scartato.

Mi sono resa conto di quanto sia vulnerabile anch’io ai complottisti, basta che riescano a toccarmi la corda giusta per farmi sentire tranquilla.

Ma non serve a niente, se sono qui a parlarne e scriverne è perché non voglio che ciò accada; ho avuto già un paio di amici che si sono letteralmente avvitati sulla pandemia, invece. Gente che ora come ora sarebbe favorevole ad un nuovo confinamento (come quello di marzo 2020 per capirsi), stavano le ore su twitter a leggere post di tutti i vari immunologi e virologi più o meno girasugo.

In qualche modo mi trovo a comprendere quelle persone che fino a poco fa prendevo in giro. No, continuo a non condividere le idee esposte dai vari novax e negazionisti, ma quando ti si attacca un bias – un preconcetto – che ti serva da zona di conforto, fai molta molta fatica a togliertelo. Io però voglio che ciò non accada a me, so che mi potrebbe accadere ma voglio tenere i preconcetti e le speculazioni più lontane possibile.

Tempo fa un influencer, Emiliano Rubbi, diceva: “tutti a parlare delle gambe di Emma Marrone e il cane di Tiziano Ferro ma dell’Ucraina non frega niente a nessuno”.

Per carità di dio, scendiamo da cavallo! Qui non si sta parlando di calcio o musica, né delle ultime storie d’amore delle celebrità. Si sta parlando di una situazione complessa su cui in realtà nessuno sa mai abbastanza perciò se anche i cazzari dei social evitano di passare da esperti virologi girasugo a diplomatici internazionali girasugo, è anche meglio così. Ci pensano già i media tradizionali a spararla grossa, adesso c’è solo da sperare che qualcuno non decida di sparare davvero. Insomma, ogni notte in cui mi sdraio sul letto mi sento come se il giorno appena trascorso mi sia stato regalato. E la cosa strana è che, più della morte, a spaventarmi è la povertà, la fame, l’eventualità di non aver più casa, la frenesia di correre per sopravvivere alle armi… La sofferenza che ogni guerra porta con sé. Perché a dirselo qua, se anche venissero con le armi e fossi la prima a cui sparano, beh, insomma… Poi possono andare avanti a combattere quanto vogliono ma io non esisterei più, non soffrirei più, non sarei più un peso per gli altri.

Diciamocelo, l’inclusione sociale è bella, è possibile, ma in una situazione ordinaria si può. In guerra ogni persona vulnerabile resta ancora più indietro.

Io ci sto provando a stare su, perché razionalmente sono convinta che se dovesse mai accadere un conflitto globale nessuno può farci niente. Possiamo votare il politico più pacifista possibile, ma se la partecipazione a un’iniziativa di quel genere arriva da una coalizione di stati, poco ci si può fare. Io lo so perfettamente, ogni ora in cui sono giù di morale è un’ora persa e nessuno, in caso malaugurato di conflitto armato, me la restituirà.

Spero solo di non crollare definitivamente e intanto scrivo, non so se in questo caso si parla di scrivere per curarsi o per evadere, a questo punto voglio solo vivere.