Oscar, storia di un eroe che cade

Avere un mito, un eroe, non è solo tipico dell’adolescenza; talvolta è bello crearsene uno anche da grandi… Io oltre all’onnipresente Freddie Mercury avevo lui, Oscar. Fino a quella tragica notte.

Oscar: un nome, una storia

Fin da piccola ho avuto modelli di riferimento legati a quel nome; prima Lady Oscar, quella ragazza del cartone ambientato durante la rivoluzione francese i cui genitori volevano un figlio maschio e poi l’hanno educata a diventare una guerriera; più avanti quel nome era legato ad un programma per computer degli anni 80 e 90 creato per trasformare in digitale il materiale cartaceo – era il primo OCR (riconoscimento ottico di caratteri) per non vedenti.

Successivamente è arrivato Oscar Del Vecchio, volontario dell’associazione Lipu – Lega Italiana Protezione Uccelli -, il quale mi ha insegnato per primo a conoscere gli alberi, i volatili, e in genere la natura; purtroppo il caro amico non c’è più, un infarto se l’è portato via a febbraio 2021.

E alla fine negli anni 2000 è arrivato lui, Pistorius, il ragazzo che mi ha fatto sperare di stare sulla strada giusta. Quella dell’inclusione delle persone con disabilità, lui nello sport io nel lavoro, ma ognuno poi ha le proprie lotte.

L’uomo dietro al mito

Conoscevo la vicenda di Pistorius perché era quello che per primo ha messo in discussione la partecipazione ai giochi olimpici solo per i cosiddetti “normodotati”, egli nel 2012 è riuscito a raggiungere quell’obiettivo e per me è diventato definitivamente il mito. …Fino a che i media non hanno diffuso l’altro lato di questo ragazzo: “un uomo arrogante, instabile e lunatico”, come raccontato da diverse donne con cui ha avuto una relazione e anche dalla madre di Reeva Steenkamp, la ragazza che lui ha ucciso nel 2013.

La vicenda di cronaca è nota a tutti, per cui non ne sto a parlare più di tanto; quello che ho appreso nel podcast Demoni Urbani uscito ieri, a san valentino 2022, è che Oscar Pistorius ha perso la madre quando lui aveva solo 15 anni, nel periodo più delicato della sua vita.

Una madre che per lui è stata un punto di riferimento, che lo ha educato all’idea secondo cui la mancanza delle gambe non fosse un limite, ma “solo delle scarpe diverse dagli altri”.

Con un piccolo particolare però: la madre beveva di nascosto! Nel podcast, Migliaccio dice una frase all’inizio: “Lui non mi perdonerà mai”. Il senso di colpa della madre, dopo la decisione di avergli fatto amputare le gambe da piccolo, a causa della malattia che non gli avrebbe permesso di camminare. Evidentemente questo stato d’animo, accuratamente tenuto nascosto al figlio, l’ha fatta sprofondare.

A volte pensando a come la mamma di Pistorius lo abbia educato, penso alla mia; d’accordo, i limiti miei e quelli di Oscar erano diversi, il contesto sociale anche, ma a quale pro negare i limiti? Tutti abbiamo dei limiti e se vogliamo superarli, la prima cosa da fare è conoscerli.

Dire che le protesi per le gambe sono solo un paio di scarpe significa distorcere la realtà, perché sì, le protesi ti permettono di correre ma una volta che sei senza, sei vulnerabile e devi saperlo. Evidentemente la sua illusione di non aver limiti, l’ha fatto crescere convinto di poter ottenere quello che voleva sempre e comunque… Anche dalle ragazze, facendolo diventare l’ennesimo narcisista patologico e violento che uccide.

Nessuna giustificazione, fortunatamente dopo la condanna a 5 anni nel 2014, l’anno successivo è stato riconosciuto l’omicidio volontario e la pena è aumentata. Ma rimane comunque l’arrabbiatura, almeno da parte mia: prima vuole superare tutte le barriere perché lui non è disabile. Poi, ammazza una persona e si inventa la storia di aver creduto che fosse un ladro e lui, senza le protesi addosso, si è difeso come poteva.

No grazie, la disabilità inesistente quando ti comoda, e poi tirata fuori quando serve a pararti il culo. Mi spiace ragazzo ma devi restare là dove sei. Potevi avere tutto, avevi il mondo in mano, e la tua violenza ti ha distrutto la vita. E’ giusto così.