Assegno di accompagnamento

Quelli come te prendono l’assegno di accompagnamento. Quelli come te prendono la 104. …E allora?

Quante volte leggo su Facebook e altri social frasi del genere! Dette anche per dileggiare persone che se lo meritano, certo, ma qui il problema è un altro: la disabilità usata come presa in giro in una cultura che insiste a considerarla come simbolo di inferiorità, rispetto agli standard delle persone “sane e forti”.

Questa pratica ha un nome, si chiama abilismo ed è radicata nella nostra cultura a tal punto che anche noi persone con disabilità a volte la usiamo e facciamo fatica a rendercene conto. Perché l’abilismo non è soltanto la barriera architettonica o percettiva, ma c’è pure nel linguaggio corrente! E no, non si tratta di dire “guarda” a una persona che non vede per invitarla a prestare attenzione, o “sei in gamba” a una persona priva degli arti inferiori. L’abilismo linguistico si verifica quando i termini riferiti alla disabilità vengono impiegati per descrivere il lato negativo di qualcuno: “sei cieco di fronte ai problemi del mondo” per indicare indifferenza è una delle tante situazioni.

Io prendo l’assegno di accompagnamento. E allora? Non è una umiliazione, né un privilegio, senza quello sarei un peso per i miei familiari e non potrei permettermi gli ausili che uso per lavorare. Perché io comunque lavoro e mi guadagno da vivere, ma la disabilità mi mette in condizione di dover sostenere costi in più, che altre persone non hanno. E non parliamo di “siete un peso per lo Stato” perché comunque i veri pesi per lo Stato sono gli evasori, ad esempio.

Sì, quelli che molti considerano uno status symbol come iPhone e iPad per me sono una protesi. Esattamente come lo sono le gambe in titanio degli atleti paralimpici che tanto fanno sognare i media abilisti… Proprio così, anche considerare un disabile come fosse un super eroe o chiamarlo “persona speciale” attribuendogli doti straordinarie, è abilismo.

Oggi nella pagina dei PlusBrothers è capitato un tizio che per dileggiare chi falsifica il proprio seguito social commentando i suoi stessi post con account finti, ha scritto: “Chi si mette i like e commenta da solo secondo me prende l’assegno di accompagnamento”.

Ecco, io prendo l’assegno di accompagnamento ma ho un’intelligenza funzionante, vorrei sperare! Mai e poi mai interagirei coi miei stessi post per darmi un tono. E una frase del genere mi ha offeso. Gliel’ho fatto notare e come ha reagito il tizio? Ha cancellato la sua reazione al mio post e il suo commento, infine se n’è andato togliendo il like dalla pagina.

Non l’ha detto, ma quel tipo di risposta è stato della serie “me ne vado perché qui non si è neanche più liberi di parlare”. “Me ne vado perché qui sono fissati col politicamente corretto”, “me ne vado perché non so come comportarmi di fronte alla disabilità quella vera”. Un autentico leone da tastiera che piuttosto di chiedere scusa ha preferito lanciare il sasso e nascondere la mano, ritenendosi nel giusto.

Peggio per lui, se a una persona per togliere il “mi piace” basta sapere che la pagina è gestita da una cieca e un sieropositivo, non siamo certo noi autori dei PlusBrothers a perderci! Anzi, perdonateci se esistiamo ma continueremo a rompervi le palle fino alla morte; se non capite che razzismo omofobia, abilismo e amici vari sono comportamenti sbagliati, è meglio che vi togliate dai piedi perché non ci siete graditi. Volete sentirvi liberi di discriminare a vostro piacimento? Bene, anche noi.

Purtroppo comunque è una questione di educazione: anch’io che ora sto scrivendo non sono esente da certi comportamenti, ma ho imparato a rendermene conto e chiedere scusa senza nascondermi, perché tutti commettiamo degli errori. Pure a me è scappato di dire “questo non ha il cervello” “non ha i neuroni” “è ritardato” fino a quando non ho imparato a conoscere, da chi lo vive in prima persona, lo stigma verso le persone con disabilità intellettiva. Non si può paragonare una condizione come quella, alla SCELTA di essere stupidi.

Anch’io ho più volte usato termini omofobi; il famoso “fare il F col C degli altri” o “rompere il cu”, “vattelo a far mettere nel cu”, e via così; talvolta io -non vedente- e il mio amico e collaboratore – gay e sieropositivo – ci siamo rivolti reciprocamente frasi infelici e ce lo siamo fatti notare uno verso l’altro, si impara anche così!

E parlare con rispetto verso il prossimo, non è assolutamente politically correct o contrario alla libertà; chi si sente meno libero di esprimersi perché per lui il rispetto è una costrizione, è solo un gran maleducato, non è in grado di sostenere una conversazione senza volgarità o abilismo, e va in crisi quando ci si deve mettere in gioco.

Per fortuna, per questa gente, l’assegno di accompagnamento non c’è altrimenti le casse dello Stato sarebbero vuote da un pezzo.